venerdì 23 gennaio 2009

Aramis



In un canestro di vimini, sparpagliate come bambole inanimate, vedo ali di pensieri, spennate, come fossero volti di bambini svegliati nel cuore della notte.

Come fossero volti sfregiati o attraversati da smorfie di dolore, o di eccessiva gioia, ché sempre smorfie sono.

Pensieri di pistole, di lacrime, di libri, di racconti, di voci e di silenzi, pensieri spennati, di piume e di chicchi di riso.

Concerti su spianate, voci e speranze, troppe speranze.

La speranza può bastare? Shalom, salaam.

Si animasse dal cesto quella parola, prendesse vita forse smetteremmo di correre e ci fermeremmo coi cieli puliti, ad ascoltare la terra che racconta.

Che parla di piccole grandi battaglie per sopravvivere, di orecchie poggiate sul terreno ad ascoltare i tremori delle radici degli alberi, i sussurri dei bruchi, la voce delle formiche.

E invece la terra non la si ascolta, ché fuori c’è troppo frastuono.

E non si fa in tempo. E il tempo non basta mai.

E non torna, resta lì a guardarti e a dirti che anche se ne hai un po’ non sei ricco, sei ricco se non ti dimentichi di quello che hai sprecato.

E ieri sera, quando il tempo riprendeva piano il suo volto, severo ma munifico, sfogliavo in libreria un libro, apparentemente senza nesso con tutto questo.

Avrei visto un film, annusavo libri di tutti i generi, cercando qualcuno che mi restituisse il tempo perduto.

E ho letto questo:“Non so come si chiamino, sai, gli spazi fra un secondo e l’altro, ma io ti penso in quegli intervalli”.

Ecco, quel tempo, di quello dovremmo ricordarci.

Di un tempo senza fretta. Per fare la pace.


שָׁלוֹם עֲלֵיכֶם (shalom alekem)


السلام عليكم (as-salamu alaikum)




(la foto è di subcomandanta, bella come un’attesa)

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